COVID 19, CLIMA E METEOROLOGIA

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di Giuliano Orel

UN RAPPORTO SOTTOVALUTATO SOPRATTUTTO NEL “CASO LOMBARDIA”

Nello “Speciale Pestilensie” di Lagunamagazine Fvg di questo maggio avevo avanzato l’ipotesi di una possibile responsabilità del clima padano e delle prevalenti condizioni meteoclimatiche invernali, di Lombardia ed Emilia Romagna in particolare, sulla maggiore entità dei contagi da Covid 19 in queste zone. Rilevavo infatti che durante i lunghi periodi di alte pressioni atmosferiche, cieli sereni, forte irraggiamento notturno e basse temperature mattutine si potevano verificare fenomeni di inversione termica con accentuata stratificazione atmosferica in prossimità del suolo e formazione di dense nebbie in caso di elevata umidità relativa. In tali condizioni, molto frequenti nel passato inverno, ed in assenza di ventilazione oppure con venti advettivi deboli, ciascuno strato d’aria avrebbe potuto fungere da serbatoio di virus con concentrazioni corrispondenti per diverse ore a quelle emesse dalle persone già contagiate ed in attività nelle città della Pianura Padana. Chi studia il comportamento dei fumi industriali in condizioni di stratificazione sa infatti che tali fumi si possono spostare per lunghe distanze mantenendo l’iniziale concentrazione di inquinanti, quasi scorressero in un tubo. Ebbene, a questa ipotesi si può obiettare che la fonte dei contagi non è un’atmosfera così arricchita di carica virale, ma le condizioni di affollamento che si verificano in queste città. In effetti, l’ipotesi proposta non tende ad escludere l’influenza della promiscuità quale fonte di contagio, tanto al chiuso quanto all’aperto, ma anzi tende ad unificare in un unico modello l’azione di queste fonti, quando si verifichino condizioni di stratificazione e/o ristagno in atmosfere caratterizzate da assenza di turbolenza. In tali condizioni non è tanto il contagiato a contagiare, ma il contagio avviene tramite le particelle virali presenti ed attive nello strato d’aria in cui sono state emesse dai numerosi passanti, a prescindere da colpi di tosse o starnuti, alcuni minuti o forse anche qualche ora prima con la semplice respirazione. In poche parole, data la sua spiccata individualità, la porzione di atmosfera interessata si comporta non solo da contenitore del virus, ma vede via via accresciuta la sua carica virale per unità di volume se il tasso di decadimento risulta inferiore a quello di arricchimento di particelle causato dai passanti infetti. D’ altro canto, se fosse soltanto o prevalentemente la densità di presenze umane, i loro movimenti ed i loro rapporti ad accentuare l’entità dei contagi, ci dovrebbe essere una correlazione statisticamente significativa tra la densità di popolazione per chilometro quadrato in una determinata provincia (assunta quale indice di promiscuità) ed il numero di contagi totali registrati nella stessa provincia. In effetti, se consideriamo sotto questa ipotesi la direttrice VE, PD, VI, VR, BS, BG, MI, a Nord e la direttrice RN, FC, BO, MO, PR, CR, LO, MI, a Sud si può facilmente constatare che non esiste alcuna correlazione statisticamente significativa tra densità di popolazione e numero di contagi, quantomeno in nessuna delle date prese in considerazione a tale scopo e verosimilmente rappresentative dell’evoluzione del numero di contagi in tutta la Valle Padana da marzo a maggio (dati Lab24.ilsole24ore.com : 15/03, 31/03, 15/04, 29/04, 15/05). Si potrebbe obiettare a questo punto che la presunta influenza della promiscuità sul contagio in ambienti aperti possa essere mascherata dalle differenti misure di prevenzione assunte in tempi differenti dalle diverse regioni della valle del Po. Si può facilmente constatare invece che non c’è alcuna correlazione tra densità di popolazione e contagi nemmeno in una situazione presumibilmente omogenea dal punto di vista preventivo ed igienico sanitario come può essere quella dell’Emilia Romagna lungo la direttrice RN, FC, BO, MO, RE, PR, PC.
C’è da sottolineare fortemente, che lungo tutte queste direttrici esiste invece una correlazione statisticamente significativa tra la distanza dal Mare Adriatico, distanza assunta quale indice di continentalità lungo la Valle Padana, ed entità dei contagi totali o dell’incidenza percentuale dei contagi sulla popolazione. Tale parametro sta ad indicare perciò che quanto più si penetra all’interno della Valle Padana tanto più frequenti diventano le condizioni di stratificazione al suolo e l’idoneità dei singoli strati a farsi accumulatori di contagio a causa della loro robustezza. D’altra parte sono proprio queste condizioni di stratificazione e ristagno a guidare l’accumulo di polveri sottili ed altri inquinanti lungo queste stesse direttrici ed è già stata messa in luce una possibile concomitanza di queste sostanze con il virus. Il significato e l’importanza dell’indice di continentalità può esser peraltro desunto dalla descrizione che le diverse provincie parzialmente o francamente padane danno del clima e della meteorologia della loro valle. Viene riportata come esempio la descrizione data dalla provincia di Ferrara: ” (…) Il clima pseudo-continentale della regione più interna del territorio provinciale prende consistenza attraverso una progressiva attenuazione dell’intensità del vento ed un graduale aumento dell’amplitudine termica (…). L’aspetto di continentalizzazione del clima in questo comparto è legato soprattutto alla mancanza di attiva ventilazione (e quindi di rimescolamento verticale dell’aria). (…) I prolungati periodi di ristagno dell’aria per mancanza di ventilazione, la maggiore escursione termica giornaliera alla quale si devono valori più marcati delle temperature estreme, le condizioni di gelo notturno nei mesi invernali per presenza di inversioni termiche al suolo (alle quali si associano elevati valori di umidità relativa e formazioni nebbiose), (…) sono gli aspetti più caratteristici del clima nell’area di pianura ormai lontana dal mare, e non più mitigabile dalle correnti di brezza marina (…)”. A sintesi di quanto detto finora, si può fare una prima considerazione: quanto più ci si addentra nella valle del Po durante il periodo di vigenza dell’anticiclone invernale, tanto più aumentano le probabilità di contagio da Covid 19. Data questa situazione, si può dire che il “caso Lombardia” di cui si parla frequentemente in questi giorni, al netto di contingenze locali, è principalmente l’espressione esasperata delle condizioni meteoclimatiche che favoriscono la diffusione del contagio. Queste particolari condizioni stagionali, la comparsa del virus in queste zone prima che in altre, la sua comparsa in parziale sovrapposizione con le manifestazioni sintomatiche del virus della normale influenza, di cui ne imita alcune, la complessità della struttura socioeconomica della zona ed una buona dose di ingenuità sono state perciò le ferali coincidenze oggettive e soggettive che hanno consentito la nascita e lo sviluppo del “caso Lombardia”. L’attenuarsi di alcune di queste condizioni scendendo verso l’influenza marina dell’Adriatico hanno garantito minori sofferenze all’Emilia Romagna, al Veneto ed al Friuli Venezia Giulia. Sofferenze minori si possono constatare anche in provincie poste a quote para collinari o comunque ad altitudini superiori ai 150-200 metri sul livello del mare, cioè poste al di sopra delle zone di influenza delle inversioni termiche. Tale fatto è constatabile ad esempio per la regione del Piemonte, per le cui provincie si può mettere in luce una correlazione inversa, altamente significativa in termini statistici (rs=1), tra l’altitudine del capoluogo provinciale e l’entità dei contagi. Ad esempio, Cuneo e Biella, le provincie più elevate, hanno avuto un minor numero di contagi rispetto alle altre. Tale relazione inversa può esser verificata, pur con minore significatività, anche per le provincie della Lombardia. In tale contesto, fanno tuttavia palese eccezione Bergamo e Brescia per la Lombardia e Belluno per il Veneto, città che, pur situate a quote comprese tra 150 e 400 metri circa, cioè al di sopra dell’influenza delle inversioni termiche di pianura, hanno subito tra le più alte incidenze di contagio nell’ambito del loro contesto regionale. C’è da dire tuttavia che Bergamo, posto alla confluenza di Val Seriana e Val Brembana, soffre delle cosidette inversioni termiche di fondovalle (da advezione), in condizioni simili si trova Brescia allo sbocco della Val Trompia e Belluno è situata in una conca lungo la valle del Piave, riproponendo condizioni atmosferiche simil-padane o addirittura iper-padane. Con l’instaurarsi delle condizioni di instabilità estiva, la via del contagio via strato dovrebbe esaurire o attenuare la sua importanza ed i contagi dovrebbero verificarsi quasi esclusivamente sia in luoghi chiusi, sia all’aperto, ma in condizioni di forte promiscuità, mancato rispetto delle distanze di sicurezza e mancato o improprio uso della mascherina. La via atmosferica del contagio potrebbe riattivarsi al riproporsi di condizioni anticicloniche e potenti inversioni termiche con accentuata stratificazione al suolo a partire dal tardo autunno e nel corso dell’inverno. In tal caso dovrebbero essere concepite misure elastiche di isolamento domiciliare, dovrebbero essere consigliati percorsi cittadini e regionali volti ad evitare le maggiori concentrazioni di polveri sottili ed ultrasottili e perciò di virus, individuabili attraverso modelli previsionali, e dovrebbero essere predisposti metodi di sanificazione ambientale. Qualche indicazione sulla solidità dell’interpretazione del rapporto Valle Padana-Covid19 potrebbe derivare dalla constatazione che i contagi estivi che via via si verificheranno, salvo inevitabili inerzie, sono statisticamente correlati piuttosto alla densità di popolazione che all’indice di continentalità utilizzato prima. Quanto illustrato sopra è stato sicuramente influenzato da cinquant’anni di cultura oceanografica, forse meno attenta a fattori demografici e sociali, la cui azione si esprime comunque in una bolla meteoclimatica ed in contesti territoriali che sembrano aver pesantemente influito anche su epidemie storiche.

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