Ricorrenza: la fine del secolare Patriarcato D’Aquileia in Istria

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di Franco Colombo

Seicento anni fa cessava il secolare dominio del Patriarca d’Aquileia in Istria. Già da secoli i Patriarchi avevano aggiunto ai diritti ecclesiastici che loro spettavano in Istria dopo che il sinodo di Mantova (827) aveva passato all’aquileiese i diritti che in precedenza come metropolita dei vescovi istriani erano stati del Patriarca di Grado che per secoli non si rassegnò, ma inutilmente, a questa perdita, riuscendo anche ad ottenere delle vane conferme imperiali e papali. Ben presto ai diritti ecclesiastici si unirono più materiali diritti feudali grazie a generosi diritti su molte località istriane concessi da re d’Italia e poi da sacro romani imperatori germanici, da duchi e da marchesi d’Istria. Questi diritti vennero successivamente codificati in elenchi ufficiali nel sec. XIV le “Entrate della chiesa Aquileiese” (1381-82) e nel “Lucifero Aquileiese” (1386), composti dal cancelliere patriarcale Odorico Susanna, sulla base di un documento precedente: “I diritti del Signor Patriarca e della Chiesa Aquileiese in tutta l’Istria” attribuito agli anni tra il 1267 ed il 1271. Erano feudi, quindi possessi “privati” della Mensa aquileiese, divenuti “pubblici” solo dopo il 1209 quando il Patriarca Volchero (1204-18) ed i suoi successori vennero nominati principi dell’Impero dalla Dieta di Augusta con la concessione del marchesato d’Istria. Si trattava di castra, cioè cittadine murate, e di ville poi divenute borghi o addirittura città ed andavano dalla donazione dei re d’Italia Ugo e Lotario del 17 ottobre 931 della città gemellare formata già nel periodo bizantino dalla collegata Castrum Muglae-Mugla, alla grande donazione compiuta nel 1102 del marchese d’Istria Ulrico (o Volrico) II di Weimar, poi sostituito dall’imperatore Enrico V con lo zio Burchardo di Moosburg (1102-1112), e da sua moglie Adelaide e comprendente i castelli di Bogliuno, Colmo (Castrum Choim), Pinguente, Vragna, Lettai, S. Martino di Bellai, Cosliaco, Cortalba, Castelvenere, Grisignana, Buie [(Castrum Buglae) poi Bullearum], Piemonte, S. Michele (S. Michele in Monte presso Pisino), castiglione (castrum Castiloni, Castion oggi Castiglione presso Buie), nonché le ville di Momiano, Cuolo (forse Zuccoli di Castelvenere), Sterna, Portole, Pietralba (o Pietrabianca, oggi in croato Beli Kamen), Marcenigla, Còvedo, Codoglie, Castagna, S. Pietro di Montrino (già conosciuta come S. Pietro del Carso di Buie, oggi Fratrija in quanto fu sede di un convento ex feudo dei vescovi germanici di Frisinga). Donazioni minori in precedenza furono la Carsia istriana e le località di Crestoglie, Pàdena, Villanova di Parenzo, S. Quirico, Laura, Valmorosa, Figarvola, Tersecco, Geme (Glem), Popetra, Antignana, Pomiano, Costabona, Daila, Loparo, Albuzzano, S. Lorenzo di Daila, Gràdena, Cepich di Sterna, Tòppolo in Belvedere (Topolovec), Cubertòn, Oscurus, S. Giovanni della Corneta (o Castiglione presso Salvore) al patriarca Popone dall’imperatore Corrado II e quest’ultima è considerata la sua più antica signoria istriana. Poi ancora nel 1002 dal duca Enrico di Carinzia il castello di Pietrapelosa (oggi la croata Kaštel e forse prima la celtica Ruvin e dal X secolo anche Ravenstein o Reuhstein). Gran parte di questi possessi che, a parte Muggia, facevano parte delle competenze del marchese d’Istria (così era chiamato non il Patriarca ma il suo rappresentante locale) e furono occupati, uno alla volta, come le foglie di un carciofo, da Venezia, fino alla signoria polese dei Castropola nel 1331. Della primigenia concessione imperiale ducentesca rimanevano ad inizio del Quattrocento solo poche città, di cui di una certa importanza solo Muggia e poi Albona, Fianona, Buie, Portole, Colmo, Rozzo, Pinguente ed il castello di Pietrapelosa. L’ultimo loro signore fu il patriarca Ludovico II di Teck (1408-20) che tentò l’estremo ricupero contro Venezia valendosi dell’alleanza col re d’Ungheria Sigismondo di Lussemburgo (poi dal 410 anche sacro romano imperatore) che alla fine del 1409 nominava vicario imperiale il conte Federico di Ortemburg col compito di restaurare i decaduti diritti dell’Impero e del Patriarcato. Cominciò con l’obbligare Muggia a mettersi sotto la sua protezione ed a prendere come podestà prima nel 1411 Ermanno conte di Cilli (Celije attuale in Slovenia) e come vicepodestà e capitano Paolo Glagovizer e nel 1413 e 1414 Giovanni Mindolfer. Le truppe dell’Ortemburg già nel febbraio del 1411 avevano infatti occupato Muggia ed in seguito il centro nevralgico militare Buie suscitando però la ferma reazione veneziana: ben presto le due località dovevano chiedere prima una tregua con la protezione veneziana poi addirittura venire a trattative, mandando ambascerie a Venezia. La guerra anche negli anni seguenti volgeva a favore di Venezia che nel 1412 aveva costretto alla dedizione e occupate con le armi anche Buie, Due Castelli, Portole, Colmo e Rozzo. Dopo una tregua di cinque anni la guerra riprese e subito Muggia nel 1418 trattò la sua dedizione a Venezia che, dopo la vittoria dell’esercito veneziano guidato dal generale Filippo Arcelli, conte di Valtidone, completò la sua conquista dell’Istria, anche con l’aiuto dei Muggesi, divenuti alleati di Venezia. Alla fine si diedero in sudditanza a Venezia, mantenendo però i loro antichi Statuti (anche se logicamente riveduti e corretti) prima Albona e Fianona il 3 luglio e poi Muggia l’8. La conquista completa dell’Istria veniva completata nel 1421 dalle truppe veneziane e muggesi sotto il comando di Taddeo d’Este, succeduto all’Arcelli e nel 1422 la campagna si concludeva con la presa di Pietrapelosa. Nel frattempo Muggia aveva accolto, in base ai patti di dedizione, il suo primo podestà veneziano che fu Vittore Duodo con la benedizione del doge Tommaso Mocenigo ed altrettanto avevano fatto le ultime città prima possedute dal Patriarca. Tramontava così il più grande principato ecclesiastico mai esistito: in Italia ce ne fu solo un altro, il principato del vescovo di Trento, fondato dal vescovo Vigilio che diffuse il cristianesimo tra le popolazioni celtiche e retiche ma che dal 952 fece parte del regno di Germania. Venezia a sue spese incrementava la sua politica di terraferma avendo conquistato importanti città che le paci successive le concessero: Brescia il 30 dicembre 1426 e Bergamo, a seguito della battaglia di Meclodio resa celebre da un’ode del Manzoni nel 1428, dopo aver negli anni precedenti restaurato nuovamente il dominio veneziano su tutta la Dalmazia ed occupato in Albania Scutari, Antivari e Dulcigno, celebre covo di pirati. Nel 1422 con l’aiuto di 4.000 ungheresi il Patriarca tentò con le armi di riprendersi almeno il Friuli ma Venezia ne ebbe facilmente ragione e, nelle successive paci con la mediazione dei papi, il trattato definitivo fu firmato il 10 giugno 1445 lasciando al Patriarca solo la piena giurisdizione feudale sulla città di Aquileia e sui castelli di S. Vito e di S. Daniele ed obbligandosi lo stesso a pagare ogni anno 5.000 scudi d’oro. Infine il Patriarcato fu soppresso nel 1751, sostituito dal vescovado di Udine. A Muggia e a Trieste (soggetta ecclesiasticamente al Patriarca ma rimasta direttamente sotto il suo dominio solo per un brevissimo periodo nel 1380) rimasero come eredità e ricordo ancora per secoli i dialetti di tipo ladino (friulano): muḡlisano e tergestino diffusi nei ceti popolari, mentre i borghesi ed i nobili parlavano dialetto istroveneto.

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