Stella, Dorigo, Giuricin: presentazione alla Minerva

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Gian Antonio Stella, scrittore, giornalista del Corriere della Sera, ha conosciuto il gruppo nazionale italiano in Istria e a Fiume, qualche decennio fa, alla nascita di Gruppo ‘88 e del Movimento per la Costituente, gli anni del fermento, gli anni del Movimento che avrebbero portato il gruppo nazionale alle prime elezioni libere e democratiche. Ed ora è ritornato, su invito del Circolo Istria di Trieste, per presentare, con il presidente dell’associazione Livio Dorigo e con il suo Vice Ezio Giuricin, gli Atti del convegno svoltosi nell’ottobre 2018 ed intitolato “Italiani dell’Adriatico orientale: un progetto per il futuro”.
Molti di voi, afferma Stella, li ho incontrati allora “con le braghette curte”: in prima fila Maurizio Tremul, presidente dell’UI, l’ex parlamentare Roberto Battelli, il presidente del Consiglio comunale di Buie, Rino Dunis, il presidente dell’assemblea della CI di Fiume, Moreno Vrancich. In sala rappresentanti delle associazioni degli esuli di Trieste e pubblico locale.
Trieste città controversa, capace di grandi slanci e di ripiegamenti. Solo qualche giorno fa Stella è intervenuto con un editoriale nel dibattito sul Vademecum dell’IRSML e l’assurda levata di scudi contro Raoul Pupo, storico che più di ogni altro si è occupato della vicenda dell’Adriatico orientale, di esodo e di foibe. Levate di scudi che hanno un mero scopo elettorale. Tomizza durante una lunga intervista mi disse: “devono ancora inventarlo il lievito che gonfi come l’odio. E quando è finito, chiudi il rubinetto e anche l’odio si riassorbe nella quotidianità della vita”. Se ce ne veniamo fuori con polemiche come quella contro Pupo allora non c’è verso di ricomporre il territorio.
Un po’ di contegno signori ufficiali, verrebbe da dire nell’asburgica Trieste che a volte dimentica se stessa, le proprie sofferenze, le divisioni, quel concetto di Patria che dovrebbe essere acquisito e superato.
Che cos’è la Patria? Si chiede Stella, per chi ha vissuto tante vite. Giusto riandare agli esempi dei singoli, dentro la storia. E racconta vari episodi di personaggi storici, noti e meno noti, che hanno fatto della loro trasversalità una bandiera. Ne cita molti, anche di un cimbro, “come me”, sottolinea per significare quel legame tra minoranze che l’ha portato negli anni Ottanta ad occuparsi di noi che stavamo immaginando una nuova realtà in un’Europa intuita, desiderata, evocata. Tante battaglie, per certi versi mai concluse se oggi abbiamo ancora bisogno di tornare alle fonti, ad interrogarci sull’identità che vorremmo, sulla ricomposizione che stenta tanto a trovare la propria strada.
Le proposte ci sono, riassunte anche nel volume degli Atti del convegno. Alcune ripescate dal passato, alcune nuove: la legge d’interesse permanente, lo sviluppo della dimensione economica, un museo multimediale sull’esodo in Istria, una fattoria didattica ma soprattutto il ritorno culturale di un mondo disperso dall’esodo, che sarà l’argomento del prossimo convegno del Circolo in autunno. Si spera con il coinvolgimento di tutti i soggetti interessati per non procedere più in ordine sparso e perché questa Comunità non scompaia gradualmente. È una percezione condivisa quella dell’urgenza di una reazione perché il mondo sappia, quale mondo?
È difficile fare arrivare certi messaggi – conviene Stella – “ricordo la perplessità dei colleghi quando raccontai del nuovo, il primo in assoluto, confine sul Dragogna. La signora Anna Delbello vide arrivare le ruspe che si misero a scavare nel suo campo: no, i miei piselli, esclamò…lì un confine non s’era mai visto, mai nella storia di questa terra”. Un’affermazione suffragata dallo studio delle carte geografiche nel corso della storia. Mai. Dissero alla Delbello che sarebbe stato un confine col filo di seta e invece nel 2016 apparve il filo spinato. Altra incredulità dell’opinione pubblica.
I progetti europei- afferma Tremul – ci permettono di guardare al futuro, di mettere in rete le minoranze ed i loro bisogni.
L’Europa deve essere il nostro sostegno – ribadisce Stella.
A patto che non si facciano danni – commenta Vrancich – i politici non sanno nulla di noi.
La nostra identità ha bisogno di supporti forti. Oggi protestiamo – ribadisce Giuricin – perché non esiste una strategia per il mantenimento di questa nostra identità nella consapevolezza delle “lacerazioni della storia, dello sradicamento di un’intera comunità il cui vulnus è difficilmente recuperabile. Ma oggi in nome di queste sofferenze, in nome di quell’amore di patria, bisogna salvare una cultura, un’eredita, perché la beffa peggiore sarebbe cancellare questa dimensione. Ci muoviamo per fa capire quanto sia importante oggi difendere questa cultura e questo patrimonio locale ma universale. Protestiamo per la mancanza di una strategia”.
Concentrati sul bisogno del ritorno senza alcun revanscismo ma per costruire e supportare un’identità che si sta annacquando nel mare grande di una realtà in veloce mutamento. Se a livello globale si manifesta come una crisi finanziaria, a livello locale intacca le piccole realtà che solo la cultura può salvare, una cultura da costruire sui valori del passato ma con nuove consapevolezze.

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Rosanna Turcinovich Giuricin

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