Un progetto per gli Italiani dell’Adriatico Orientale: il nostro convegno, Seconda parte
Dopo l’intensa mattinata che ha messo mano ai temi salienti del convegno Italiani dell’Adriatico Orientale: un progetto per il futuro”, al pomeriggio sono ripresi i lavori con la presentazione del cortometraggio “Là, dove continua il mare”, di Isabel Russinova e Rodolfo Martinelli Carraresi, e della mostra fotografica “Italiani d’Istria. Chi partì e chi rimase” di Lucia Castelli, che verrà allestita prossimamente a Pirano.
Il dibattito ha ripreso poi la sua forza con Loredana Bogliun che ha inizialmente letto la sua poesia “Me paro la madona” che racconta dell’abbandono di Dignano, della sua rovina e del padre che parla della sua terra imbastardita, fattasi incolta con le lacrime agli occhi. Nel suo più articolato e complesso intervento Bogliun ha chiesto che leggi e accordi internazionali vengano applicati finalmente e ha affermato che sia giunto ormai il momento di pretendere che, accanto alle commemorazioni delle vittime dell’antifascismo, in Istria vengano commemorate pure le vittime delle foibe, altrimenti non avrebbero senso le pubbliche scuse di Damir Kajin, presidente dell’Assemblea istriana negli anni 90, per l’eccidio delle foibe. Il contributo della storica Silva Bon si è configurato sulla necessità di superare le barriere: “barriere mentali, muri resistenti, incrostati di preclusioni, di pregiudizi, di conflitti ideologici, tra parti contrapposte, che giungono perfino al livello di sanguinosi conflitti interpersonali. Molto si è fatto negli ultimi anni. Eppure la domanda ‘Abbiamo fatto bene a venir via?’ ha dilaniato le coscienze di molti pensatori, di molti intellettuali negli anni difficili e bui del secondo dopoguerra. La preoccupazione per la conservazione della cultura italiana, dell’uso della lingua italiana, è stata costante in queste teste pensanti illuminate- ha ricordato la Bon. Penso a Guido Miglia, a Diego De Castro, a Biagio Marin, a Fulvio Tomizza, che hanno tutti teorizzato e praticato la ripresa del colloquio verbale, dell’interlocuzione, della riappropriazione morale della necessità del dialogo tra andati e rimasti; e tra italiani e sloveni e croati. Oggi la necessità, il dovere, del dialogo si impone agli occhi di tutti, in un momento di risorgenti nazionalismi e razzismi. Istituire attraverso regole e leggi un Osservatorio Permanente di dialogo a livelli diversi: per consolidare l’idea stessa della necessità ineluttabile dell’apertura, dell’amicizia transfrontaliera; per preservare una presenza istituzionale italiana sul territorio”.
“Fare in modo che le comunità italiane divengano motori dell’economia del territorio, novelli uffici di promozione e marketing per le attività del turismo, guide, alberghi ristoranti”- ha proseguito ancora Guido Rumici, che era stato tra i fautori della Mailing List Histria, intesa come momento di avvicinamento tra esuli e rimasti, autore di numerosi saggi sulla realtà del gruppo nazionale. E per la sua esperienza pluridecennale nel mondo della scuola, Rumici ha affermato che si potrebbe migliorare il livello educativo se l’Italia ponesse maggior attenzione al problema, per far diventare d’eccellenza la scuola italiana in cui venga sviluppato, però, l’aspetto identitario. E’ un tema che torna questo sempre uguale, una conferma che qui si debba agire e anche in fretta.
Nel giungere alle conclusioni la moderatrice del dibattito pomeridiano Rosanna Turcinovich ha ricordato che “c’è un unico giornale in lingua italiana in Istria e a Fiume, che è l’unico che parla di noi e che è online; “è necessaria una campagna di informazione che raggiunga tutti, in modo che diventi veramente uno strumento a disposizione di tutti e possa essere anche momento di scambio con i lettori. Bisogna sviluppare i contatti con gli insegnanti corregionali, nati in diverse città d’Italia, che organizzano incontri con le scuole in Istria e a Fiume, incontrare e collegare le specializzazioni, fare rete è importante- ha ricordato Turcinovich”.
Nel corso del dibattito molti sono stati gli interventi, tra cui anche persone venute da Torino e Firenze, molte le precisazioni. Le conclusioni sono state tratte da Ezio Giuricin, che ha osservato come questa sia stata occasione di analisi e psicanalisi, “ci siamo sfogati- ha detto -, nell’ambito di esuli e rimasti non ci sono stati finora momenti di questa portata e l’intervento di Nelida Milani è stato un pugno nello stomaco, necessario. C’è stata dialettica democratica, siamo stati sinceri, abbiamo cercato perlomeno di esserlo, onesti con noi stessi. Ci sono state critiche alle istituzioni degli esuli e della minoranza, fatte nel verso di contribuire in positivo al proseguimento della nostra esperienza, di chi desidera che questa nostra realtà vada avanti; chi ti dice la verità ti difenderà, chi non ti dice la verità non sarà mai un amico- ha affermato Giuricin. I dirigenti dell’UI intervenuti, seppur non contenti, hanno dimostrato pazienza e sensibilità, speriamo che le sollecitazioni di oggi servano per un costruttivo dibattito all’interno dell’assemblea dell’UI”. Ha proseguito ricordando che l’occasione è stata voluta per fare qualcosa, non contro qualcuno. “Si tratta di lavorare attraverso le istituzioni che abbiamo, come sta facendo Moreno Vrancich a Fiume, che fa parte della nuova dirigenza e ha accettato la sfida. A Fiume, nel 2020 città della cultura europea, grazie a questo loro impegno cambierà la toponomastica, nonostante il sindaco sia stato per lungo tempo un estremo oppositore”. Giuricin ha ripreso il tema caldo della scuola e del tempo che ci rimane. “E’ vero che anche se moriranno le istituzioni ci sarà sempre una presenza residua italiana, ma certo se non facciamo qualcosa oggi, fra 10-20 anni la realtà sarà diversa da quella che vorremmo, e non possiamo permettere che avvenga per mano di altri. Dobbiamo combattere perché il nostro destino sia da noi controllato. Gaetano Bencic dice la scuola deve essere il pilastro della nostra identità nazionale, e Moreno Vrancich gli fa eco affermando che queste non sono scuole italiane, sono slovene o croate con insegnamento della lingua italiana. E i governi le finanziano credendo che si svolga questo ruolo. Lo sforzo quindi deve essere nostro per incrementare l’autonomia delle nostre scuole, chiedere che ci sia un istituto che gestisca autonomia didattica di programmi e di scelta del personale. Si parla di questo – ha ricordato Giuricin- dai tempi di Antonio Borme, di un’adeguata formazione degli insegnanti. I nostri dipartimenti di Fiume, Capodistria e Pola non sono sufficienti, i nostri insegnanti dovrebbero essere formati in Italia, che dovrebbe mandare i propri insegnanti nelle nostre scuole, aperte anche agli altri, ma che devono essere scuole di formazione e lingua italiana. Altrimenti si prospetta un futuro nebuloso”. Ezio Giuricin ha poi dichiarato come sia necessario sottrarre la minoranza e la sua cultura e civiltà all’arbitrio di interpretazioni burocratiche, finanziarie, a catene come l’Università Popolare di Trieste, le cui tristi vicende sono sotto i nostri occhi. Bisogna fare in modo che l’Italia dimostri interesse verso queste realtà senza intermediari, che agisca con una politica di ampio respiro che manca completamente. “Questo convegno – ha detto – vuole essere un appello all’Italia perché faccia qualcosa per la salvaguardia della presenza italiana, la lotta per la sua sopravvivenza è una questione nazionale e di cultura. Il manifesto e l’appello che emergono da questo convegno, saranno trasmessi alle autorità politiche, al parlamento e al governo italiano, al ministero degli esteri, alla Regione Friuli Venezia Giulia e Veneto, alla stampa, all’opinione pubblica, alle associazioni di esuli e rimasti, che siano stimolo e spunto di riflessione e le cui questioni poste possano trovare risposte concrete”.
“Ho partecipato a questo dibattito col cuore più che con il cervello- è stato il commosso saluto di Livio Dorigo in conclusione- sono emersi filoni operativi che hanno bisogno di un cuore che deve palpitare per e nei giovani”.
Rossana Poletti