Un progetto per gli Italiani dell’Adriatico orientale: il nostro Convegno, Prima parte

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Alla fine di un’intensa mattinata di lavoro a chi è toccato il compito di redigere questo resoconto vien da dire che è mancata una troppo grande parte del mondo degli italiani dell’Adriatico orientale: gli esuli; se si escludono alcuni presenti a titolo personale e gli appartenenti al Circolo di Cultura “Istria”, organizzatori del convegno “Italiani dell’Adriatico Orientale: Un progetto per il futuro”. Ma poi ci è insorta la domanda: esistono ancora? hanno voce in capitolo? E la risposta che ci siamo dati, dopo aver sentito la grande qualità e lo spessore culturale degli intervenuti, è che forse si stanno estinguendo, ma sicuramente i loro rappresentanti non sarebbero in grado di sostenere un confronto di questo tipo.
Da subito è emerso un grado di passione e di coinvolgimento forte, diremo il sentimento nazionale, quell’appartenenza alle proprie radici e tradizioni, alla propria lingua, che è stata la bandiera dell’intervento di Gaetano Bencic. Da non confondersi con i nazionalismi, gli ismi che sono nefasti nella storia dell’umanità e che oggi si ripresentano pesantemente in quest’Europa, che per settant’anni è stata foriera di pace e sviluppo. Parliamo di quel sentimento nazionale che affonda le sue radici nel cuore, nell’aver ricevuto con il latte materno una lingua, una memoria impressa indelebilmente nel dna, e che noi istriani non riusciamo a toglierci di dosso, quando pensiamo alla nostra travagliata storia e guardiamo alle nostre terre con gli occhi della nostalgia.
Ma andiamo per ordine, con alcune autorevoli presenze, Maurizio Tremul e il deputato al parlamento sloveno Felice Ziza, i lavori sono stati aperti dall’intervento di saluto di Franco Degrassi, padrone di casa, che ha ricordato come l’IRCi non sia e non debba essere l’ennesima associazione istriana ma un ente che ha, oltre alla necessità di includere Stato e Regione, di avere la funzione di casa istituzionale degli Italiani dell’Adriatico Orientale; museo, ma anche archivio, luogo di ricerca, scuola di specializzazione.
Poi è stata la volta di Livio Dorigo, indomito presidente del circolo Istria, che, ripercorrendo le tappe importanti, le pubblicazioni e gli eventi attivati dalla sua associazione nell’arco di 36 anni, ha ricordato come le tracce della nostra storia, anche quella più antica, siano ancora presenti nel territorio.
Con Ezio Giuricin, anima del convegno e suo appassionato organizzatore, si è aperta una lunga serie di interventi che hanno messo il dito nella piaga del problema. “Si avverte da tempo l’esigenza di proposte di ampio respiro, di una politica degna di questo nome per salvaguardare, rilanciare, riqualificare la presenza della nostra componente in Istria, Fiume e in Dalmazia” ha detto Giuricin. Perché come ovviamente molti hanno sottolineato la cultura italiana messa in discussione, negletta e abbandonata non sta certo di qua dal confine, ma è quella rappresentata dalla comunità italiana d’oltreconfine. E comunque Giuricin non ha mancato nel suo intervento di sottolineare che la minoranza “rimasta” e il mondo degli esuli- due componenti della stessa comunità divise purtroppo dalla storia- stanno combattendo, con affanno, per “sopravvivere”. “Non possiamo riparare i guasti e i torti subiti, guarire le enormi lacerazioni prodotte dall’esodo e dallo sradicamento quasi totale di un popolo” ha proseguito. Allora che fare? “Proponiamo l’approvazione di un nuovo e chiaro quadro legislativo, la cosiddetta legge d’interesse permanente per la comunità nazionale italiana in Istria, Fiume e Dalmazia, accanto alla legge per un equo e definitivo indennizzo dei beni abbandonati. Un Trattato trilaterale per l’affermazione dell’unità e dell’uniformità di trattamento della minoranza, oltre che l’attuazione coerente dell’Accordo italo-croato del 1996. E ancora lo sviluppo di una reale dimensione economica della comunità italiana aperta a entrambe le componenti dell’italianità est-adriatica, che agevoli persistenza sul territorio e rinnovamento generazionale. Un appello, ma anche un manifesto da trasmettere a politici, istituzioni, associazioni, società civile”. Giuricin spera di non essere un novello Don Chisciotte a causa dell’inclinazione all’autodistruzione del nostro mondo comunitario, aggiunge però che “per salvarci dobbiamo volerlo”. “Cosa ci riserva il futuro- conclude-. Non lo possiamo sapere, ma non dobbiamo rassegnarci, dire ci siamo ancora e affermare che sappiamo cosa è l’orgoglio di una piccola comunità spezzata e divisa”.
A Nelida Milani, presente in forma di scritto, è toccato il compito di denuncia della situazione in essere. Il suo è stato un intervento carico del pessimismo legato soprattutto alla difficile e sbagliata situazione delle scuole italiane. Un appello accorato a ripensare questa istituzione, perché il futuro dell’italianità in Istria è legato ai giovani che vivono una condizione di grande straniamento. “Dapprima insensibilmente e poi sempre più visibilmente le classi si riempiono di alunni “misti”, di nazionalità croata e altra. I ragazzi italiani, numericamente deboli, vivono fra due opposti che confliggono tra loro, in classe e ovunque sono circondati dai loro compagni di altra estrazione culturale, in numero preponderante, i quali li destabilizzano con i loro modelli. Ci sarà pure un Regolamento scolastico che prevede l’uso della lingua italiana nell’intero perimetro scolastico, ma sembra che i direttori se ne siano dimenticati. Domina l’idea barbarica di uguaglianza in una classe di diversi che contraddice l’idea di libertà. Si fosse lavorato con MISURA e REGOLE sull’uso della lingua avremmo avuto altri risultati”. Non manca Nelida Milani di mettere sotto accusa e non velatamente l’Unione Italiana, “in altre faccende affaccendata, deve prima regolare la nuova collocazione-cuscinetto fra tre Stati e darsi un assetto democratico, e poi diventerà un’ottima amministratrice delle finanze e poi pian piano pianino si ripiegherà in una soggettività autoreferenziale rivolta a far mostra di sé con vari eventi culturali da lei stessa gestiti”. E ancora racconta “scendono i governanti da Zagabria e dalla regione per dirci quanto sono orgogliosi della loro tolleranza. La tolleranza è una parola piena di violenza, io tollero te perché ti sono superiore” e conclude “i nostri esuli possiedono la memoria, hanno il magazzino delle durate. Noi abbiamo quello della memoria breve, ma viviamo nella nostra terra che è anche la loro”.
Oltre che di cultura si parla di economia con Giorgio Tessarolo, che ricorda come le minoranze abbiano avuto diversi trattamenti, quella slovena in italia ha avuto una banca, un’associazione economica autonoma, di cui invece gli italiani in Istria non hanno certamente usufruito, anche se sulla carta sembrava che dovessero godere del paradiso terrestre. Le élite acculturate della minoranza italiana al massimo potevano ambire ad un impiego nell’insegnamento o nel giornalismo. “Oggi molto giovani emigrano, minando la dimensione numerica della minoranza, già compromessa dall’assimilazione e dai matrimoni misti. Come aiutarli a rimanere nel loro territorio? Ci sono due possibili interventi, non certamente miracolistici- ha proseguito Tessarolo- da effettuare attraverso una collaborazione con le associazioni degli esuli e il coinvolgimento di imprenditori di origine istriana e dalmata che abbiano voglia di investire nei luoghi delle loro origini, che impieghi il lavoro dei giovani italiani plurilingui, preparati ed istruiti, insomma una sintesi di business e sentimenti. Il secondo intervento passa per una maggior presenza nei programmi interreg, facendo squadra per superare la complessità della progettazione e la concorrenza aggressiva”.
Nel proseguire degli interventi sono emersi numerosi altri temi specifici che affrontano le problematiche della cultura italiana di queste terre. Guglielmo Cevolin, docente di diritto dell’UE all’Università di Udine, ha ricordato che la legislazione italiana per la tutela dei beni archeologici tiene conto della differente tutela tra minoranze autoctone e quelle che non hanno radici. Ha poi sottolineato l’importanza della Legge Beggiato del Veneto per la salvaguardia dei resti della cultura veneta delle terre che ci interessano. Ma ha anche rilevato di come sia importante fare leva su grandi personaggi, su intellettuali che si facciano portatori delle nostre istanze, come ad esempio Ernesto Galli Della Loggia. “L’aspetto della lingua è fondamentale, -ha proseguito – elemento di continuità molto forte, aspetto che ci apre a tante riflessioni sull’autoctonia, sulle minoranze nazionali e linguistiche. E’ nata in Europa l’iniziativa minority safepack, che vuol far partire dal basso un modo per far star meglio tutte le minoranze, il cui intento è di far capire come bisogna fare quadrato su questi argomenti”.
Interessanti e qualificati gli interventi di Sandro Gherro, Fulvio Varljen e Franco Fornasaro, che facendo riferimento alle loro esperienze, tutti hanno espresso l’esigenza di un forte rinnovamento, quasi una rivoluzione, il bisogno di coinvolgere in questo percorso quelli che non sono appartenenti alla nostra comunità, grave mancanza del passato. “Valorizzare i rimasti, senza di loro la nostra cultura non esisterebbe più, nel farci carico di essere rappresentati nella sede di Dublino delle minority” ha concluso Fornasaro.
Alla fine della lunga mattinata Kristjan Knez ha ricordato che questo è l’ultimo treno per capire cosa fare del nostro futuro senza distinzioni tra andati e rimasti. “Rischiamo di essere come personaggi di Verga il cui destino è segnato e non possiamo farci nulla, invece credo che il destino dobbiamo farcelo noi, come italiani di questo spazio geografico, vedremo se i messaggi che usciranno da questo convegno verranno raccolti. Non mancano documenti per ricordare la nostra storia, l’esodo aveva smantellato tutto, ma poi per fortuna si sono ricostituite solide istituzioni culturali, di ricerca ed indagine storica. Ciò che manca –ha concluso Knez- è il confronto, la collaborazione continuativa tra enti e istituzioni. La nostra storiografia è stata snobbata in Italia. Da una parte ci sono ancora veti degli esuli sui rimasti, ma anche rigurgiti nazionalistici impediscono il dialogo. Si tratta di non mettere in discussione la soggettività delle singole istituzioni ma fare rete permettendo di elaborare indagini di ampio respiro per dare risposte ai quesiti ancora aperti”.

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Rossana Poletti

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