Recensioni: Nelida Milani, lo stato dell’anima

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Riflessioni sul libro di Nelida Milani “Di sole, di vento e di mare”

di Ezio Giuricin

 

Che cos’ è una minoranza? Qual é lo “stato dell’anima” degli italiani “rimasti” in queste terre, una comunità duramente provatadalle lacerazioni e l’inclemenza della storia? Se lo chiede e, soprattutto, ce lo spiega, con la straordinaria efficacia della prosa, grazie all’universalità e la straordinaria potenza simbolica del linguaggio letterario Nelida Milani nel suo ultimo libro “Di sole, di vento e di mare” edito da Ronzani. 

Questo grande omaggio alla realtà dei “rimasti” è, in effetti, un “manifesto letterario” sulla condizione, oggi, della comunità nazionale italiana in Istria e a Fiume, una specie di poema epico introspettivo, un momento di psicoterapia di gruppo sul destino, il senso di appartenenza, l’identità della minoranza. La prosa di Nelida Milani traccia, attraverso il racconto lungo “La pesca miracolosa” e il saggio – confessione – manifesto “Una rosa bianca”, un’impietosa denuncia sullo “stato”, le dolorose vicissitudini, l’attuale situazione della comunità. Con le lenti della sociolinguistica, la forza del segno poetico e letterario, Nelida Milani ci sferra un colpo allo stomaco, ci scuote dal torpore, ci impone di aprire gli occhi di fronte alle ferite ancora aperte, ai vuoti, alle lacune che continuano a tormentare i “rimasti”. Svela le debolezze di un piccolo popolo, segnato dallo sradicamento e dal disincanto, dalla minaccia della pericolosa perdita di sé, ma al contempo indica la strada, propone le soluzioni per tentare di risalire la china, consentire alla minoranza di “riagguantare” il proprio destino.

 Il punto centrale del messaggio di Nelida Milani è la lotta per l’affermazione e il recupero dell’identità nazionale, in particolare fra i giovani, lo sviluppo di un sistema scolastico, culturale e associativo in grado di formare coscienza, consapevolezza di sé.

Non si nasce italiani, specialmente quando non si nasce in Italia – afferma Nelida – italiani si diventa. E un processo: non posso sapere nulla di me, non posso produrre la mia identità prima di essere entrato in relazione – rileva la scrittrice – con ciò che non sono”. Chi mi aiuta? Chi mi guida? – si domanda, e ribadisce: “E’ la lingua italiana che noi sentiamo come nostra patria”.

 “Là bisogna investire – ci spiega – in una cultura viva, al passo coi tempi, in maniera socialmente cosciente. Non testimonianza, ma presenza di gente con la propria dignità.” E continua in quello che è il suo lascito intellettuale e morale: “Non un sussurro, non il silenzio, non il nascondimento, ma un discorso, una nuova narrazione, un divenire, un’identità, una lotta. Magari nuotando contromano come i salmoni, con l’aiuto dei poeti, degli scrittori, degli artisti, degli attori, dei professori, degli intellettuali, che sono i più fini portavoce della lingua e delle espressioni artistiche”. 

Bisogna ricominciare da lì – ammonisce. Bisogna reagire alla deriva, avviare una rifondazione, favorire un deciso cambio di paradigma: prendere in mano la questione giovani- lingua/dialetto. Essenza del della nostra identità, del nostro essere, del nostro riconoscerci comunità.

 Una battaglia contro i mulini a vento? – si chiede. Ma ricorda Cervantes, che fa dire a Don Quijote: “non v’è cosa più folle che vedere la vita com’è e non come dovrebbe essere”.

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“Una rosa bianca” è la rielaborazione del suo intervento – saggio presentato al Convegno “Italiani dell’Adriatico orientale: un progetto per il futuro”, promosso nel 2018 a Trieste dal Circolo “Istria”. E’ una straordinaria prova letteraria, e soprattutto un segno di forte militanza intellettuale e civile di cui le siamo profondamente grati e che ci indica la strada da percorrere. Ma il racconto centrale “la pesca miracolosa” che parte dal primo bombardamento alleato di Pola nel 1944 per andare sino ai giorni nostri evoca, attraverso la narrazione di una storia individuale e collettiva, l’epopea di un popolo piegato dallo sradicamento, segnato dai vuoti dell’assenza, “condannato – come dice la scrittrice – a convivere con la possibilità di ricominciare tutto daccapo per ritrovare gli artigli della storia, implacabile nel riprodurre se stessa”.

Una narrazione che non a caso richiama alla mente di Mauro Sambi, che firma la postfazione del libro intitolata “Tra vuoto e vuoto, la vita”, un saggio di Simone Weil sull’”Iliade” di Omero (“L’Iliade o il poema della forza”). “Weil – precisa Sambi – nota che tutta l’Iliade è sotto l’ombra della più grande tra le sventure che possano toccare gli uomini, la distruzione di una città. Una sventura che pietrifica in modo diverso, ma in ugual misura, le anime di coloro che la subiscono e di coloro che la maneggiano.” Nell’Iliade, come nella narrazione della Milani emerge – spiega Mauro Sambi – una “straordinaria equità nella compassione per i soccombenti, cifra infallibile dell’epica più autentica e pura”. 

Il racconto della Milani accenna a diventare storia e mito dei “vinti”, l’orgoglio di una comunità spezzata e fortemente provata, alla continua ricerca di sé. “Con l’atemporalità del sole, del vento e del mare – spiega Mauro Sambi – uno dei segreti più intimi della resistenza culturale italiana in Istria e a Fiume”.

La caducità dell’uomo, delle città, delle culture, la mutabilità della storia, le incertezze di una minoranza come la nostra possono essere combattute – questo il messaggio del libro di Nelida Milani – dalla forza della letteratura: “una grande descrizione dei processi emotivi, mentali, del cuore”. “La letteratura – spiega l’autrice – racconta come uno ama, odia, cosa sono la noia, il disprezzo, il desiderio, la vergogna, la gioia… E’ una grande agenzia di educazione emotiva, che comporta la conoscenza e l’uso delle parole, un bene prezioso, un nutrimento.”

 “Di sole, divento e di mare” di Nelida Milani è un bene, un nutrimento per capire cos’è la nostra minoranza, conoscere meglio quello che siamo, le nostre speranze, intuire dove vogliamo andare. Ne dovevamo parlare alla presentazione del suo libro, dopo Pola, Buie e Cittanova, anche a Trieste, a fine marzo, evento rinviato a causa del coronavirus. Ma il segno, la parola, il pensiero quando si fanno vera letteratura sono più forti di ogni calamità. Resistono e ci aiutano a resistere, a rinnovarci, a incontrarci di nuovo, a ritrovare noi stessi.

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